I filtri polarizzatori.

Capita a volte, quando si è agli inizi, di imbattersi, leggendo qua e là, nella famigerata figura del filtro polarizzatore. Per alcuni amico fedele, per altri un mistero, cos'è in realtà questo sconosciuto?

Il filtro polarizzatore, tra le tante categorie di filtri esistenti, è quello strutturalmente più complesso, composto da almeno due vetrini sovrapposti montati su apposita ghiera che ne consente la rotazione indipendente, permettendo così di scegliere il piano di polarizzazione della luce che investe il sensore (o pellicola se fotografate in analogico).
Manco a dirlo, questo tipo di filtri raggiunge facilmente cifre elevate, se paragonate ad altri tipi, ma comunque contenibili.

Tralasciando per il momento il concetto tecnico e un pò pesante di polarizzazione (che potremo trattare più avanti), cominciamo col dire che in origine, al tempo della sua immissione sul mercato, l'uso primario del filtro polarizzatore era quello di eliminare i riflessi indesiderati del soggetto fotografato. Era (ed è) quindi particolarmente indicato per "attraversare" vetri o vetrine e superfici d'acqua allo scopo di fotografare quello che c'è oltre. Col tempo, però, ci si è resi conti che il filtro poteva anche migliorare incredibilmente la saturazione cromatica delle immagini.

Fondamentalmente il filtro polarizzatore funge da schermo con il quale, a seguita della sua rotazione, si può definire la quantità di luce da lasciar passare.
Come nel caso dei filtri cromatici, utilizzati per bloccare una singola lunghezza d'onda, il lavoro del polarizzatore è quello di bloccare il riflesso abbagliante. E' per questo che con il diffondersi della fotografia a colori ci si è accorti di un aumento della saturazione cromatica: eliminando tutto o in parte il fastidioso riflesso, il filtro permette al sensore di percepire distintamente i colori oltre il disturbo.